La colestasi gravidica è una condizione patologica che come dice il nome stesso, si ravvisa fondamentalmente durante la gravidanza. Nonostante sia molto rara (solo l’1-2% delle gestazioni ne sono interessate), può presentarsi a cavallo tra il secondo e terzo trimestre di gravidanza, provocando una forte sensazione di prurito che in un primo momento si concentra su mani e piante dei piedi, e che poi prende il sopravvento su tutto il resto del corpo. Ma c’è da preoccuparsi?
La colestasi non costituisce una condizione particolarmente preoccupante per la donna, anche perché i sintomi stessi sono soliti sparire in coincidenza del parto. Tuttavia può produrre qualche effetto sul nascituro, pertanto vale la pena che venga individuata e trattata per tempo.
La colestasi gravidica non è altro che un malfunzionamento della secrezione biliare, la quale si accumula nel fegato per poi disperdersi nel sangue e nei tessuti e causando, appunto, quell’irritazione dei nervi periferici che dà poi luogo al prurito e alla comparsa dei puntini rossi. Dal momento in cui si tratta di una condizione che nasce nel fegato, la colestasi gravidica può essere diagnosticata con una visita medica e un’analisi del sangue. Specifici indicatori, come il dosaggio della bilirubina, delle transaminasi e degli acidi biliari, infatti, permettono di capire se ci sia in corso un caso di colestasi o se i sintomi lamentati dalla gestante abbiano a che fare con altre patologie.
Cerchiamo di capire allora come comportarsi una volta che la diagnosi c’è. Dopo una diagnosi di colestasi gravidica bisogna recarsi tempestivamente dal medico, in quanto una sottovalutazione dei sintomi può portare a parti prematuri, sofferenza del feto, asfissia neonatale, morte neonatale o morte endouterina. Ecco quindi che dopo la diagnosi va presa in considerazione una terapia ad hoc, solitamente fatta a base di acido ursodesossicolico, che aiuta non solo a ridurre il prurito, ma anche a regolarizzare le funzionalità del fegato e della bile.
E’ inoltre raccomandabile continuare ad eseguire dei monitoraggi del feto e dei costanti esami del sangue affinché la situazione sia monitorata nel tempo. Non è raro infatti che, giunti ad una determinata situazione, il medico non possa suggerire un parto prematuro per evitare che il feto risulti danneggiato dalla colestasi.